Con gaudium magnum in questi giorni si “festeggia” il possibile adeguamento del trattamento eco- nomico della dirigenza pubblica non contrattualizzata (Forze di polizia).
Motivi di gioia vengono espressi anche da alcuni rappresentanti della dirigenza penitenziaria perché il trattamento economico è equiparato a quella dirigenza per disposizione di legge (articolo 48, comma 2, del D.lgs. 29 maggio 2017 n. 95, recante “Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia”, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).
Si tratta dei c.d. “effetti indotti” di una contrattazione non svolta dalla dirigenza penitenziaria (che infatti non si siede al tavolo) poiché, da 14 anni, ancora non si riconosce il diritto a questa importan- te componente del sistema penitenziario di vedere rispettato quanto previsto dal decreto legislativo n. 63 del 2006.
Da allora ad oggi chi ha rappresentato la dirigenza penitenziaria si è “accontentato” di quanto de- stinato ad essa dai negoziati svolti dai rappresentanti delle Forze di polizia. Il ruolo di questa diri- genza viene percepito quindi come un’appendice del sistema della sicurezza. Questo NON è più ac- cettabile.
Questo Coordinamento Nazionale ha già chiesto e continuerà a chiedere a gran voce l’avvio delle procedure per una specifica e autonoma contrattazione, finalizzata a costruire una cornice di regole a tutela e a salvaguardia della identità professionale dei dirigenti penitenziari. Essi assicurano ogni giorno il rispetto del principio costituzionale dell’art 27, la gestione amministrativa e finanziaria dei penitenziari, insieme alla sicurezza delle persone e dei luoghi. Nessuna dirigenza pubblica raccoglie insieme tutte queste responsabilità in una sola funzione.
Anche per questo occorre superare la pratica degli effetti indotti riconoscendo rispetto e dignità al nostro profilo professionale e alle funzioni che assolviamo ogni giorno, anziché ringraziare con il “cappello in mano” per quanto elargito.
Dignità è non essere sempre considerati i “capri espiatori” dei disservizi che nella maggior parte dei casi non rientrano nell’ambito, pure ampio, delle responsabilità dei dirigenti penitenziari. Digni- tà è vedersi riconosciute le prerogative e le tutele legali per le delicate funzioni che ogni giorno ven- gono assolte. Dignità è avere percorsi di sviluppo di carriera basati su criteri di valutazione misura- bili e con obiettivi definiti a monte.
Questo Coordinamento nazionale è impegnato attivamente su questi temi e proseguirà in tale impe- gno per contribuire al varo del primo contratto per la dirigenza penitenziaria. Dignità di ruolo in ra- gione della unicità delle funzioni svolte!